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Lo sport e la crisi

Pubblichiamo un documento interessante tratto dal sito http://burson-marsteller.it/newsroom/2012/10/sport-e-crisi/

di Burson-Marsteller pubblicato il 25 ottobre 2012 • Il Blog

a cura di Lodovico Priori

Lo sport è un tassello fondamentale dell’economia italiana in quanto produce circa il 3% del Prodotto Interno Lordo e fornisce occupazione a più di un milione di persone. La crisi delle aziende sportive è stata ed è tuttora trasversale e ha colpito tutti gli sport dai più importanti a quelli con meno seguito. Il problema è di non difficile comprensione: il peccato originale delle società sportive è stato quello di non pianificare sin dall’inizio una strategia di sostenibilità economica a lungo termine, in grado di fronteggiare un’eventuale crisi economica. Negli ultimi venti anni, infatti, il mondo dello sport in Italia si è basato più del dovuto sulle sponsorizzazioni e sui diritti televisivi, ritenendo che queste due fonti di entrata fossero un pozzo senza fine, sufficienti per sostenere eventuali periodi di difficoltà.

Secondo l’Associazione Italiana Calciatori molte squadre di calcio professionistiche nell’ultimo decennio hanno avuto sensibili riduzioni delle entrate che, come prima conseguenza, hanno causato forti ritardi nei pagamenti degli stipendi (che in alcuni casi arrivano a pesare fino all’80% dei costi aziendali). Per esempio nel basket squadre importanti come Napoli, Fortitudo Bologna (Campione d’Italia 2005), Capo d’Orlando prima, Rieti e Avellino poi, e Treviso (Campione d’Italia 2006) con il recente addio della famiglia Benetton, sono addirittura fallite o retrocesse nelle leghe minori perché abbandonate dagli sponsor e dagli imprenditori/mecenati che le avevano sostenute a proprie spese per anni.

Ultimamente la situazione sembra un po’ migliorata, ma la fine dell’incubo per il mondo dello sport è ancora lontana. Per questo motivo molte società sportive negli ultimi anni sono corse ai ripari cercando fonti di revenues alternative (si pensi alla Juventus e al recente stadio di proprietà), perseguendo una sostanziale riduzione del monte stipendi dei propri tesserati o trovando una soluzione nella vendita dei giocatori più quotati sul mercato (vedi il Milan di Berlusconi con le recentissime cessioni di Thiago Silva e Ibrahimovic).

Il problema dello sport italiano è stato, ed è tutt’ora, la mancanza di una strategia d’investimento in grado di garantire una sostenibilità economica nel lungo periodo, svincolata dagli aumenti di capitale degli azionisti di riferimento. Per anni le società sportive hanno “navigato a vista”, programmando solo a breve termine con operazioni di mercato o investimenti che potevano avere valore per poche stagioni, senza una logica a lungo raggio.

All’estero e in particolare negli Stati Uniti le squadre che hanno strategicamente investito nell’immagine e nel marketing, e quindi nella sostenibilità, hanno risentito molto meno del trend negativo dell’economia mondiale. Gli esempi da imitare per il movimento sportivo italiano sono le squadre di calcio inglesi e sopratutto tedesche, che hanno tratto il massimo dall’organizzazione del mondiale 2006, o le leghe professionistiche americane, con l’NBA (basket) in testa. Realtà che dal punto di vista del marketing, della vendita dei diritti tv e del merchandising sono molto più avanti rispetto alla nostra serie A di calcio, top sport in Italia.

La Lega Basket americana è una vera e propria macchina da soldi. Basti solo pensare che in totale il contratto concluso con le due emittenti televisive nazionali americane, Tnt ed Espn, fino al 2016 porterà 7,4 miliardi di dollari nelle casse delle trenta squadre NBA e la cifra verrà divisa in modo equo tra tutte le squadre (28 milioni di dollari l’anno per ciascuna). Le entrate per ogni franchigia sono di circa 90 milioni per squadra così suddivisi: 35 milioni dal ticketing, 5 dal merchandising, 10 dalle Tv locali, 15 dagli sponsor (anche 40 per i Team principali) e 28 milioni dalle Tv nazionali. Da questo dato deduciamo che il valore delle entrate provenienti dalle tv rappresenta in media circa il 40% del totale degli introiti (circa il 30% per i Top Team), mentre per le squadre di calcio italiane la vendita dei diritti tv fino ad oggi ha rappresentato quasi il 60%.

Secondo quanto emerge dall’ultima edizione dello studio Football Money League 2012 pubblicato da Deloitte, ci sono fondate ragioni per essere ancora preoccupati per il futuro del calcio italiano. I motivi sono legati soprattutto ai bassi ricavi totali medi per incontro: solo per fare un esempio, il confronto fra le quattro squadre italiane più “ricche” (AC Milan, Inter, Juventus e AS Roma – tutte presenti nella Top 20 di Deloitte) e le quattro società della Premier League (Manchester United, Arsenal, Chelsea e Liverpool) è assai impietoso. È sufficiente pensare che il fatturato medio giornaliero di una squadra come il Milan è un quarto di quello del Manchester United. Questi numeri dimostrano che gli stadi italiani non solo stanno perdendo spettatori, ma non sono neppure in grado di vendere efficacemente ai tifosi che normalmente li frequentano. E ciò potrebbe innescare una pericolosa spirale al ribasso per gli introiti degli impianti sportivi e delle società calcistiche.

Parlando di pallanuoto, il campionato che è appena cominciato non è nato sotto i migliori auspici. Per tutta l’estate hanno tenuto banco le polemiche legate al nuovo regolamento, ai diritti TV, agli ingaggi degli atleti, agli impianti che mancano o che non si riescono ad ammodernare, al disinteresse delle istituzioni per uno sport non ricco ma che sa raccogliere successi che salvano una stagione, come il recente argento alle Olimpiadi di Londra. Molte delle società partecipanti versano in situazioni economiche non floride, strette tra debiti e tagli. La stessa superdecorata Pro Recco, nonostante la conquista dello scudetto, questa estate è stata salutata dal suo presidente multimilionario Gabriele Volpi e si trova in grande difficoltà.

Tornando al basket, lo scorso marzo Giancarlo Cerutti, presidente della squadra di Casale Monferrato, oltre che Presidente del Gruppo Il Sole 24 Ore e imprenditore di successo, ha organizzato un convegno intitolato “Crisi del basket: minaccia o opportunità?” con l’obiettivo di confrontarsi, sollevare problemi in maniera costruttiva e proporre soluzioni. Al PalaFerraris di Casale sono intervenuti Marco Bonamico (presidente Legadue), Valentino Renzi (presidente Legabasket), Gaetano Laguardia (vicepresidente FIP), Marco Atripaldi (amministratore delegato di Biella) e Marco Bellinazzo (giornalista presso Il Sole 24 Ore). Come moderatore, Flavio Tranquillo, giornalista di Sky Sport ed esperto di basket a 360°. Quello di Casale è stato un discorso a tuttotondo, dove purtroppo sono emerse di più le filosofie personali che vere e proprie proposte di soluzioni ai problemi.

In conclusione per recuperare il terreno perduto rispetto ai campionati esteri e ad altri mondi più profittevoli come l’NBA, è necessario lavorare principalmente sulle aree del marketing, che hanno ampi margini di miglioramento e sono a strategiche tanto quanto quelle sportive, e sulla realizzazione d’impianti di proprietà. Non ha più senso continuare a investire in giocatori, qualsiasi sport essi pratichino, senza preoccuparsi di pianificare gli obiettivi, stabilire le linee guida, comunicare e valorizzare il proprio prodotto con professionalità e sistematicità